Toro: lacrime d’addio…

Esiste una sola squadra, il Torino, capace di provocare emozioni e senzazioni che restano indelebili nella carriera di un giocatore e nell’immaginario dei suoi tifosi. Il Toro, quella squadra maledetta, come la definì Roberto Cravero dopo la finale di Amsterdam, che regala più lacrime che sorrisi, più rammarico che gioia, ma che proprio nella sofferenza e nel pianto fa si che un uomo che ha vestito quei colori, si identifichi nella causa che ha provocato tale sensazione, e solo chi ha versato lacrime e ha sofferto per questa maglia riesce a sentirsela cucita addosso come una seconda pelle per tutta la vita, anche quando in futuro vestirà altre maglie, anche se il suo lavoro lo porterà lontano da Torino e dal Torino.

Da tanti, da troppi anni in granata si erano esaurite anche le lacrime e le emozioni che il Grande Torino prima, il Toro di Pianelli, Pulici e Graziani poi, e successivamente quello di Mondonico avevano coltivato e fatto sbocciare copiose, perché è più nella sfortuna e nella sofferenza che nelle vittorie che si identifica il vero granata…

Ognuno di loro, anche chi non c’è più, è rimasto in qualche modo legato al Toro e non verrà mai dimenticato nè cancellato da chi il Toro lo adora anche per le sofferenze che gli procura. Come un innamorato che ama ancor di più una donna anche se questa non perde occasione per farlo star male, come il sottile piacere della sofferenza che diventa quasi sadismo.

Non si possono amare questa maglia e questi colori senza aver mai pianto almeno una volta per loro…

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Capita allora che per tre anni consecutivi, da quando il Toro è tornato ad essere il Toro, l’ultima di campionato regali lacrime ed emozioni. Lacrime di giocatori da Toro, degni di vestire questa maglia e come tali, capaci di soffrire e piangere per il Toro.

Chi non ricorda il giro di campo di Rolando Bianchi l’ultima di campionato al termine di Torino-Catania, quell’urlo dopo aver insaccato il goal del 2-2 sotto la curva Maratona onorata fino all’ultima goccia di sudore e le lacrime di un ragazzo che non voleva lasciare quella maglia e quella fascia da capitano che ormai significavano un senso di appartenenza ad una famiglia, simboli di una fede che resterà indelebile a vita, come un marchio a fuoco.

Un pianto che significava addio a quella gente che amava e che lo amava, un pianto che era la consapevolezza che le emozioni vissute in granata erano al capolinea e che l’ovazione che i tifosi di Mazzola, Meroni, Pulici e Graziani gli stavano tributando valeva molto più che scudetti, trionfi e coppe;  ma questo solo chi è del Toro può capirlo, solo chi ama e soffre per questa maglia riesce a comprenderlo.

Un anno dopo la storia si ripete, non a Torino ma in uno stadio amico, l’Artemio Franchi che aspettava soltanto di festeggiare il ritorno del Toro in Europa dopo vent’anni, e che invece ha dovuto assistere all’ennesimo scherzo del destino e alle solite lacrime di chi capitano non era, ma probabilmente era il giocatore che in quella stagione aveva incarnato maggiormente lo spirito granata, quell’Alessio Cerci che si è visto respingere un pallone dagli undici metri a tempo scaduto che avrebbe ridato al Toro un motivo per festeggiare dopo troppi anni bui, ed è invece stato il pretesto per nuove lacrime, nuova sofferenza che ha in qualche modo legato indissolubilmente al Toro il nome di Cerci che, nonostante l’addio  è, e resterà marchiato a vita dalla sua esperienza in granata. Un addio tra le lacrime che era scritto se si voleva trasformare l’uomo in un mito, o forse nell’ennesimo martire, in uno dei tanti eroi granata senza gloria, legati al Toro da sofferenza e lacrime.

E passa un altro anno e di nuovo le lacrime sono protagoniste dell’ultima di campionato, il giorno che dovrebbe essere solo un arrivederci ma per molti diventa un addio. E allora l’applauso dell’Olimpico a Darmian, giunto al Toro che era poco più che un ragazzo che in quattro anni si è fatto uomo, diventa l’occasione per l’ennesimo groppo in gola di uno stadio che vede volar via il suo ultimo gioiello che si commuove per l’amore del suo stadio e dei suoi tifosi che forse nessuno più gli regalerà.

Son le lacrime di capitan Glik, osannato per 90′ ed esortato a restare in granata, perché è troppo l’amore della sua gente per il proprio capitano, che in due anni ha incarnato lo spirito del condottiero meglio di ogni altro giocatore e che grazie al Toro e alla forza della sua gente è diventato uno dei più forti ed appetibili difensori del campionato italiano.

Glik ama il Toro e il Toro ama Glik e quelle ennesime lacrime di fine stagione potrebbero nascondere un senso di riconoscenza di chi sa che potrebbe essere all’ultima maglia granata indossata, o un ulteriore senso di appartenenza e stima verso un popolo che ti fa sentire parte integrante di se e della sua storia come nessun’altro è in grado di fare.

Che sia un addio o un arrivederci grazie Kamil, grazie Matteo e ancora grazie anche a Rolando ed Alessio, così diversi tra loro ma uniti dalle lacrime, dalla passione e dall’amore verso una maglia che resterà cucita a vita sulla loro pelle.

 

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