Se questo è un Campione… Fabio Quagliarella

Sono uno dei pochi che ritiene che i calciatori guadagnino quel che meritano. Se, infatti, il business del pallone genera un giro di affari miliardario è giusto che buona parte di questi soldi finisca nelle tasche dei protagonisti, di quelli che ci mettono la faccia e i piedi.

Guardo ai giocatori della squadra per la quale faccio il tifo come fossero degli eroi, mi esalto quando realizzano una rete e festeggiano battendosi la mano sul cuore o baciando il simbolo del club e, ancor di più, quando dichiarano di amare, proprio come me, quei colori magici. Però so bene che è un gioco delle parti e che loro sono professionisti e, in quanto tali, effettuano le loro scelte in base alle opportunità di cui dispongono: soldi, ambiente, ambizione e prospettive di successi.

Anche il più grande dei campioni che hanno difeso, o difendono, i colori di una squadra lo fa per interesse. Interesse che, come detto, non è solo legato ai soldi. Se Buffon, Nedved, Del Piero e Trezeguet sono rimasti nella Juve martoriata da calciopoli e spedita a giocare in Serie B, lo han fatto perché veniva loro garantita la possibilità di continuare a guadagnare bene, giocando in una città e in una situazione ambientale a loro congeniale (non dimentichiamo che i giocatori hanno una casa, una moglie, dei figli che vanno a scuola, delle abitudini), con lo stimolo di contribuire a riportare la loro squadra nuovamente dove era sempre stata.

Quei grandi campioni sapevano che un eventuale scudetto rivinto a Torino avrebbe rappresentato il loro più grande successo. Loro sarebbero stati per sempre identificati come gli eroi. E infatti così è stato. Campioni dunque sì, ma con la loro convenienza.

Poi ci sono gli altri, quelli che campioni non lo sono e non lo saranno mai perché non basta essere bravi e forti ma serve qualcosa di più, qualcosa che devi avere dentro. Ci sono giocatori che non riescono ad inserirsi in un gruppo, che non vanno d’accordo con il loro allenatore o che, semplicemente, non vengono ritenuti più utili allo scopo. A quel punto la società, in quanto datore di lavoro del calciatore, può decidere di inserirli in una trattativa di mercato nella speranza che entrambe le parti possano ricavarne un vantaggio.

Ci sono calciatori c149834678ML030_FC_JUVENTUS_he magari sono arrivati alla Juve perché, nel momento migliore della loro carriera, promettevano sfracelli. Per questo hanno ottenuto contratti molto interessanti e vantaggiosi. Poi capita che le promesse non vengano mantenute e che quel contratto diventa un fardello per la società. E qui arriviamo alla vicenda di Fabio Quagliarella.

Arrivato nella piccola Juve pre-contiana sembra davvero il giocatore giusto per l’attacco bianconero. Subisce però un grave infortunio che lo tiene fuori a lungo. Nonostante ciò, Quagliarella è protagonista, assieme a Vucinic e poi a Giovinco dell’attacco della squadra campione d’Italia nel 2011/2012 e 2012/2013. In particolare sembra essere uomo da Champions, realizzando reti pesanti come quella contro il Chelsea allo Stamford Bridge.

Quagliarella nella Juve di Conte è croce e delizia. Capace di grandi reti ma anche di fallire quasi sempre quando gli viene concessa la possibilità di giocare titolare. Alla Juve dei primi due anni di Conte tutti i critici sono concordi nel riconoscere nell’attacco il reparto meno competitivo della Juve. Quando, nella stagione in corso, arrivano Tevez e Llorente si comprende quanto, per una volta, giornalisti e opinionisti vari avessero ragione. Con la forza di Tevez e la lenta, ma devastate, crescita dello spagnolo, per Quagliarella gli spazi sono pochi. Neanche l’infortunio di Vucinic gli regala molte possibilità di mettersi in gioco. Quando viene chiamato in causa, però, quasi sempre delude le aspettative (vedi Roma-Juve di Coppa Italia).

Quagliarella non ha mai amato troppo il gioco di Conte. Un gioco in cui l’attaccante si sacrifica molto per la squadra, costretto com’è a tornare a recuperare, a cercare l’anticipo sull’avversario lontano dall’area di rigore e a dialogare con i compagni al fine di costruire fraseggi brevi che, quando vanno a buon fine, risultano essere micidiali per gli avversari. Il fatto che alla Juve segnino molto i centrocampisti è merito degli attaccanti, che devono creare gli spazi necessari agli inserimenti vincenti.

A Quagliarella questi schemi non sono mai risultati troppo congeniali, non si sa se per incapacità o per mancanza di volontà. Non è un caso che lui sia l’unico degli attaccanti a cercare, e qualche volta a trovare, il gol dalla lunga distanza. Ma con lui in campo non ci sono fraseggi ed anche gli inserimenti dei centrocampisti non riescono. Lui, da attaccante vecchio stampo, vuole la palla quando ce l’hanno gli altri e tira in porta quando la possiede lui.

Quando è arrivata la sessione invernale dei trasferimenti, allenatore e società gli han fatto capire che avrebbero cercato per lui una nuova sistemazione. In particolare, quando è saltato il trasferimento di Vucinic all’Inter, allora la società, forte dell’accordo con Osvaldo, ha cercato per l’attaccante napoletano una società che ne desiderasse le prestazioni.

amauriaquintaQuagliarella, forte di un contratto con stipendio robusto ha, via via, rifiutato le varie sistemazioni proposte, dal Cardiff alla Lazio. Sapeva che sarebbe stato messo ai margini della squadra ma è andato avanti per la sua strada. La notizia della non iscrizione nella lista dei partecipanti all’Europa League non è stato un fulmine a ciel sereno per Fabio, preventivamente avvertito dalla società durante gli ultimi giorni di calciomercato.

La Lazio, come le altre società interessate a lui pretendevano una riduzione dell’ingaggio. Quagliarella avrebbe rinunciato a qualche centinaia di migliaia di euro di stipendio e, fatti i dovuti scongiuri, ai premi spettanti in caso di vittoria dello scudetto e dell’Europa League. Da qui il no a qualunque altra destinazione, pur sapendo che, in questo modo, avrebbe visto il campo soltanto da lontano.

Quagliarella è, di fatto, fuori rosa, anche se nessun dirigente lo dirà mai. Marotta non è Branca e sa bene che il confine tra il mobbing e il legittimo non utilizzo di un giocatore è piuttosto labile e, quindi, mai cadrà nel tranello di dire la verità, ossia che Quagliarella non giocherà più nella Juve, salvo imprevisti, come accadde a Fabio Grosso qualche stagione fa.

Quindi Quagliarella si comporta come uno Iaquinta o un Amauri qualsiasi e questo nessuno se lo aspettava. Iaquinta mai accettò il trasferimento dalla Juve perché aveva un ingaggio folle pur non essendo più, di fatto, un calciatore. Per quanto assurdo possa sembrare, è facile comprendere il suo atteggiamento. Diverso il discorso di Amauri e, oggi, di Quagliarella. Amauri ha sprecato due stagioni della sua carriera soltanto per soldi. E’ un calciatore che poteva diventare un campione ma non lo è diventato; però era, ed è, un buon calciatore e lo sta dimostrando a Parma. Con uno stipendio inferiore, certo, ma con ben altra soddisfazione.

Un campione non è solo colui il quale ottiene grandi successi. Un campione è colui il quale non vuole mai arrendersi, che ha voglia di dimostrare quanto vale anche se ha 30 anni e viene costretto a lasciare una grande squadra per andare in una più piccola. Luca Toni lo sta facendo, in passato lo hanno fatto Baggio, Signori, Di Vaio. Un campione ha una dignità che nessun premio-scudetto può annacquare. Un Campione discute la sua destinazione, perché nessuno dice che Cardiff sia il posto ideale per ricominciare, ma poi sceglie una tra le proposte che gli arrivano.

Un campione non resta dove non è desiderato. Fabio Quagliarella non si sta comportando da Campione. Non importa che abbia segnato tanti gol con la Juve, era ed è pagato per farlo, non importa che Giovinco meriti meno di lui un posto nella Juve. Ciò che conta è che un Campione vero non si fa mettere fuori rosa per quattro soldi.

 

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