La storia del “mio” Toro

Sono nato il 3 gennaio del 1969, a 580 chilometri da Via Filadelfia, tifo Toro da quando avevo 6 anni, perché un cugino di secondo grado più grande e granata, mi raccontò la storia del Grande Torino  e imparando a memoria la formazione degli Invincibili: Bacigalupo, Ballarin, Maroso, Grezar, Rigamonti, Castigliano, Menti, Loik, Gabetto, Capitan Valentino Mazzola e Ossola, mi innamorai della Leggenda. Scoprii  anche le imprese di Pulici, bomber del momento, al quale mi affezionai subito.

Ricordo ancora che da bambino tornando a casa la domenica dopo le partite chiedevo sempre a mio padre se il mio idolo avesse segnato e rivedendo i suoi gol gonfiavo il petto come lui alzando le braccia dritte al cielo come faceva lui ogni volta che lo vedevo in Tv in qualche occasione al 90’ Minuto di Paolo Valenti, segnare ed esultare. E un’altra formazione a memoria da imparare con lo scudetto sul petto: Castellini, Santin, Salvadori, Patrizio Sala, Mozzini, Caporale, Claudio Sala, Pecci, Graziani, Zaccarelli e Pulici.

Del Toro si. Essere del Toro qui in provincia di Roma non è semplice da far capire. Agli occhi della gente ci può stare che tu sia romanista, laziale, juventino, perfino milanista e interista, ma non del Toro… Non è facile farlo capire adesso che ho 45 anni a chi ti conosce per la prima volta e vuol parlare di calcio e, nonostante il Toro degli anni 70 fosse fortissimo, qui non era facile farlo comprendere neanche quando ero bambino.

Del Toro si. Nonostante mio zio, incallito interista, al compimento del mio 7° anno di età comprò e mi regalò la maglia dell’Inter per il mio compleanno per tentare di farmi cambiare idea. Me la mise addosso anche se non volevo e mi scattò anche una foto ricordo in cui sono imbronciato e che non tengo in nessun album, ma a parte, perché non mi rappresenta e mi ricorda che divenni triste quel giorno, nonostante fosse il mio compleanno. In compenso la indossavo qualche volta quando andavo accompagnato da mio padre o da mio nonno, a vedere il Civitavecchia in C2, la squadra della mia città…nerazzurra come l’Inter…

Poi ricordo che il primo grosso pianto fu la finale di Coppa Italia persa con la Roma nel 1980 e l’anno dopo ancora con la Roma e l’anno dopo ancora, ancora in finale e stavolta contro l’Inter. Pianti clamorosi, dopo essere stato per tre ore, supplementari e rigori compresi, attaccato alla radiolina (altro che Sky e Mediaset…)

Ricordo che il 27 marzo del 1983, a 14 anni, spensi la radio e corsi via di casa nel momento che Platini segnò il gol del 2-0 nel derby. Dopo l’1-0 di Paolo Rossi su svarione dell’olandese Van De Korput (primo straniero del Toro dopo la riapertura delle frontiere), Terraneo era riuscito a ribattere il rigore ma il francese era riuscito a riprendere la palla e segnare. Ero furioso. Uscii e ricordo che vagavo con un amichetto romanista a spasso per la mia città facendo finta che non mi fregasse più niente di quel derby, fino a quando, vista l’ora, quando mancava una mezzora scarsa alla fine chiesi timidamente ad un signore intento ad ascoltare le partite vicino ad un bar: “Che fa la juve?” “Vince 2-0…no, aspetta. Ha appena fatto gol il Torino…2-1”  Ringraziai e ripresi la passeggiata ma stavolta con passo più spedito. Non so perché, ma sentivo che qualcosa stava succedendo e speravo ardentemente che la mia squadra riuscisse almeno a pareggiare contro la juve dei campioni del mondo Zoff, Gentile, Cabrini, Scirea, Tardelli, Rossi e con Platini e Boniek… Fantascienza pensavo…

Feci circa 200/300 metri e vidi un altro signore sulla sessantina seduto sul muraglione che si affaccia sul porto della mia città, che appoggiava una radiolina al suo orecchio. Mi avvicinai, mi feci coraggio e chiesi: “Che sa quanto stanno al derby di Torino?” Mi rispose: “Sei della juve èh..” E io sorrisi senza proferire parola. Continuò: “La juve vinceva 2-0. Ma in meno di 4 minuti il Torino ha fatto 3 gol e sta vincendo 3-2..” D’istinto dissi: “Ma mi sta prendendo in giro?” “No caro” rispose e alzò la radio… Enrico Ameri aveva appena preso la linea da Torino e commentava che il derby stava avendo del clamoroso… in 3 minuti e 40 secondi il Toro aveva segnato 3 gol ed era in vantaggio. Cominciai a correre come un pazzo verso casa insieme al mio amico che mi correva dietro contento anche lui perché quel risultato poteva essere determinante per lo scudetto giallorosso. Ci misi 10 minuti, il tempo di entrare e accendere la Tv che stava dando i risultati finali. Non credevo ancora a quello che era successo. Solo quando Paolo Valenti, in attesa di 90’ Minuto, si collegò con “Domenica In” e diede i risultati, capii che era tutto vero ed esplosi di gioia. Dossena, Bonesso e Torrisi in 3’ e 40’’… Irripetibile!

All’indomani a scuola mi presentai bardato di Granata dalla testa ai piedi sfottendo i tanti compagni gobbi in aula. E successe la stessa cosa nel derby del 1984 col gol di Serena al 90’ su calcio d’angolo battuto da Junior. Altro mio grande mito.

Scherzi del destino vogliono che io all’anagrafe sia registato col nome Carlo Junior. Mio padre, come me, si chiama Carlo. Ma nel 1969 bisognava mettere qualcos’altro vicino al nome per non creare omonimia. Così mio padre invece di optare per non so, Carlo Alberto, Carlo Maria, etc., mi mise lo Junior vicino al nome, all’americana, come fecero qualche giorno prima, il 29 dicembre del 1968, anche Carlo Ponti e Sofia Loren con loro figlio che si chiama come me: Carlo Junior.

E Junior era nel mio destino di tifoso. Quando nell’estate del 1984 si vociferò su Tuttosport (allora un quotidiano che si poteva ancora leggere) che il Torino fosse interessato al terzino della Selecao e del Flamengo, io non ero più nella pelle.

Ricordo che con le scuole chiuse, molti miei compagni tiravano a far tardi ad alzarsi dal letto. Io no. Da quando uscì quella voce, ogni giorno alle 8 di mattina ero in edicola a comprare Tuttosport con l’edicolante che ormai sapeva cosa volevo. Conservo ancora due di quei quotidiani. “JUNIOR E’ DEL TORO” a titoli cubitali in prima pagina, (non nei trafiletti di spalla a destra come succede oggi a favore di titoli ogni giorno più bianconeri). E l’altro, il giorno del suo arrivo a Torino: “ECCOLO!” con la foto di Junior appena sceso dall’aereo.

Ero pazzamente innamorato di Leo (Leovigildo Lins Gama detto “Junior”) e compravo ogni giornaletto (Guerin, Intrepido, etc…) che avesse un solo articolino o foto che lo riguardasse. Che spettacolo. E ci rimasi molto male quando andò a Pescara perché ormai con mister Radice non andava più d’accordo.

Sono sempre stato così. Mi sono innamorato di Dossena e una foto ritagliata dal Guerin dello striscione a lui dedicato, “Un magico Dossena per una magica curva”, campeggiava nel mio diario scolastico. Ma fui felice anche di Selvaggi, Hernandez, Kieft, perfino di Polster (un paracarro austriaco che correva sempre coi pollici alzati e che fece pure una decina di gol, compresa tripletta alla Sampdoria) e anche del brasiliano Muller, che aveva grandissime doti tecniche e un cervello da 12enne.

Il primo contatto, seppur solo epistolare, col tifo granata, lo ebbi nel 1987 quando sul Guerin Sportivo, di cui ero assiduo lettore, vennero pubblicati gli indirizzi di tutti i principali club ufficiali delle tifoserie italiane. Naturalmente scrissi a quello del Toro. Una lunga lettera dove spiegavo il mio amore per il Toro, da dove scrivevo e che presto avrei voluto essere in Curva Maratona. Mi rispose un certo Checco Genre, (che più tardi scoprii come grande capo tifoseria) dicendomi che ammirava la mia passione per il Toro e che mi aspettava presto per tifare insieme in Curva Maratona. Insieme allo scritto mi arrivò anche la sciarpa dei Granata Korps. La mia prima vera sciarpa del tifo granata. Un sogno.

Piansi in macchina, a 20 anni, accanto alla mia fidanzata di allora il giorno di Lecce-Toro nel giugno del 1989 quando il Toro andò in B per la seconda volta nella sua storia dopo quella del 1959. Ma c’era una speranza. Un presidente nuovo e ambizioso, Borsano, e fu subito serie A. Ma ricordo ancora tremendamente come per vedere i gol del Toro quell’anno dovevo aspettare oltre la mezzanotte il servizio sulla serie B della Domenica Sportiva…tremendo.

Finalmente riuscivo a seguire il Toro più da vicino. Fino al 1989 lo avevo visto sempre all’Olimpico di Roma prendere quasi sempre sonore mazzate dai giallorossi. La prima volta ricordo rimasi traumatizzato. 1981/82: 3-0 Conti, Turone e Chierico senza Pulici infortunato e senza che i granata riuscissero quasi mai superare la metà campo…

Così con i Fedelissimi Granata di Roma del grande Pierpaolo Pesce riuscii a fare i primi passi nel tifo. Giovedi 7 dicembre 1989 il club organizza una cena a Valmontone, nella provincia di Roma, insieme alla squadra granata! Al termine dell’amichevole Valmontone-Torino preludio alla trasferta dei granata ad Avellino (poi finita 0-0). Treno Civitavecchia-Roma da solo, treno Roma-Valmontone da solo e arrivo nel paese dei castelli romani qualche ora prima dell’amichevole. Partita, cori (per la prima volta) e a seguire cena insieme ai giocatori. Mi fecero sedere tra Marchegiani ed Enzo (chi se lo ricorda questo centrocampista di quell’anno?) e non stavo nella pelle. Marchegiani arrivato l’anno prima dal Brescia via Ancona e Jesi mi disse: “Mai avrei pensato che il Toro avesse così tanti tifosi in tutta Italia. E’ bellissimo, ogni volta che ci spostiamo, non esiste città che non abbia tifosi del Toro da qualche parte”. Riuscii anche a chiedere a Fascetti perché Muller quel giorno (che arrivò a Valmontone in elicottero col presidente Borsano pochi minuti prima dell’amichevole) non fosse arrivato con la squadra e non avesse giocato. Mi rispose testualmente: “Perché è un coglione!” Grande Fascetti. Pane al pane e vino al vino. Ci rimase male che Borsano scelse Mondonico e non confermò lui per la serie A dopo la splendida cavalcata promozione.

Presi anche un premio quella sera direttamente dalle mani del presidente Borsano che mi chiamò al microfono con nome e cognome per regalarmi il gagliardetto e la spilla ufficiale del Torino Calcio. Ho ancora la foto che ci fecero mentre avviene la consegna. Che finaccia pure il povero Borsano. Dagli altari alla polvere in poco più di tre anni. Se Craxi non fosse caduto in disgrazia, se Sordo avesse segnato invece di prendere la traversa quella sera ad Amsterdam…chissà cosa avremmo potuto fare con Borsano, Mondonico e quei giocatori di allora…

E quella stagione 1989/90 finì nel migliore dei modi. A parte la promozione immediata in A ci fu il mio debutto a Torino. Allo Stadio “Comunale” (l’attuale “Olimpico”) il 27 maggio del 1990, ultima partita in casa del Toro, ultima partita dentro quello stadio in pieno centro città che venne sostituito dal nuovo “Delle Alpi” alla Continassa. Torino – Messina 3-0 Cravero, Ezio Rossi e Venturin. Tre gol di tre figli del Filadelfia. Sette ore di treno con mio padre laziale, mia madre simpatizzante per me e quindi per il Toro e con Aldo e suo padre Pino altri due grandi granata di Civitavecchia. La visita a Superga per la prima volta. Lacrime come un bambino. Sembrava che il silenzio parlasse, che quella lapide fosse lì per scolpire ancora di più questo mio cuore granata. Brividi. Vedemmo anche lo Stadio Filadelfia, ancora in sufficienti condizioni, ma solo da fuori, non ci fecero entrare, ma fu bello comunque.

Biglietto di distinti lato Maratona. Un sogno realizzato. Uno spettacolo dall’inizio alla fine, coi bambini della scuola calcio del Torino a sfilare e poi a fare partitine sul campo, l’attesa, la gara, i gol, il tifo, le urla di gioia, i paracadutisti, l’elicottero che posa sul campo una gigantesca lettera A granata, il giro di campo dei giocatori festanti a fine gara. E poi di corsa in centro, Via Roma, Piazza Castello, le bandiere, la città completamente granata. Festa infinita almeno fino all’ultimo treno possibile che da Porta Nuova ci avrebbe riportato a casa. Era solo l’inizio.

In quella stessa estate, insieme ad altri tre grandi amici del Toro, Massimo, Alessandro e appunto Aldo, decidemmo di metter su il club Fedelissimi Granata Civitavecchia. Prendemmo contatti con il grande Ginetto Trabaldo dei Fedelissimi di Torino e Pierpaolo Pesce dei Fedelissimi di Roma e ci facemmo spedire lo statuto per l’affiliazione che avvenne dopo aver girato casa per casa tutta Civitavecchia alla ricerca di tutti o quasi i tifosi del Toro tra quelli che conoscevamo personalmente e quelli che ognuno che tesseravamo ci indicava. Un elenco lungo di circa 70 persone delle quali 50 decisero di tesserarsi con 10 mila lire di iscrizione, tessera del club e adesivo del club che il prode Massimo aveva fatto fare a sue e nostre spese. Una enorme soddisfazione. Poi, la prima cena di club, le cariche da assegnare (a me toccò quella di “capo tifoseria”, ovvero organizzatore di tutte le trasferte…) l’acquisto di due abbonamenti di Curva Maratona che vennero messi a turno a disposizione di chi volesse andare a vedere la partita a Torino. E ricordo anche un pomeriggio di luglio afoso passato nel garage di Massimo a fare il nostro primo striscione su un lenzuolo… Civitavecchia Granata e un bel Toro rampante in mezzo.

Prima partita ufficiale dei Fedelissimi Granata Civitavecchia fu il 9 settembre 1990 Toro – Lazio   0-0 prima giornata del campionato di serie A 1990/91 secondo anello curva Maratona. Partita un po’ scialba, con le espulsioni di Ruben Sosa e di Pasquale Bruno, con due opposte fazioni in curva a darsele di santa ragione a partita appena cominciata con la curva che si aprì in due lasciando lo spazio giusto per la zuffa di 5 minuti. E poi il tifo, tanto, caloroso che con Massimo registrammo addirittura su una audio cassetta da un walkman portatile. Cassetta tuttora esistente e conservata.

E furono tante le partite che organizzamo in treno, pullman, con i club di Viterbo e Roma e anche da soli e tante le partite che vedemmo e non solo a Torino. Personalmente nei due anni di Borsano fui presente parecchie volte: 90/91: Toro-Lazio 0-0, Toro-Inter 2-0 (Fantastica), Toro-Roma 1-0 (Goduria Ciccio Romano), Genoa-Toro 0-0 (a bere Barbera a go-go coi fratelli genoani), Toro-Milan 1-1 (incazzatura terribile per il gol di Maldini al 90’ al volo e di destro…) , Pisa-Toro 2-0 (coi pisani che ci tirarono di tutto, dal nostro arrivo e fino alla nostra partenza), Sampdoria-Toro 1-2 (Goduria doppia vincere coi “ciclisti” in casa loro l’anno del loro scudetto), Lazio-Toro 2-1 (brutto Toro), Roma-Toro 2-0 (in attesa di entrare nei distinti ospiti la polizia permise ai tifosi giallorossi di tirarci di tutto dagli spalti), Toro-Genoa 5-2 (vissuta da tifoso vero), juve-Toro 1-2 (libidine vera), Toro-Samp 1-1 (pastetta…), Fiorentina-Toro 0-0 (altra pastetta ma meravigliosa festa, prima, durante e dopo la partita), Toro-Atalanta 0-0 (Toro stanchissimo ma 5° e in Uefa anche perché quel giorno il Genoa battè 2-0 i gobbi). 91/92: Genoa-Toro 1-1(grandissimo primo tempo, pessimo secondo), Lazio-Toro 2-1(di nuovo brutto Toro con la Lazio), Napoli-Toro 0-1(i tifosi del Toro dentro una gabbia per polli e colpiti da gavettoni volanti. Io in Curva A, accompagnato da un napoletano, a mordermi le mani per non urlare…), Roma-Toro 1-0 (partita noiosissima con esito pessimo negli ultimi minuti), Toro-juve 2-0 (4 giorni dopo il Bernabeu, Goduria infinita), Toro-Milan 2-2 (spettacolare gol di tacco di Casagrande e gol del 2-2 di Ancelotti regalato), Fiorentina-Toro 0-0 (gara da sonno biblico ma c’era Amsterdam tre giorni dopo), Toro-Ascoli 5-2 (L’addio di Lentini) e di Coppa Uefa: Toro-Boavista 2-0 (freddo), Toro-Aek Atene 1-0 (freddissimo), Toro-BK Copenaghen 1-0 (noia), Toro-Real Madrid 2-0 (indiscutibilmente la miglior partita del Toro che io abbia mai visto), Toro-Ajax 2-2 (prima la gioia, poi il dolore, e infine la speranza).

Vittorie, soddisfazioni, sconfitte e delusioni, ma un’enorme passione. Fu in quelle stagioni e anche fino al 94/95 (anno della nostra ultima vittoria in un derby) che conobbi tantissimi tifosi di Torino, tanti anche molto conosciuti, Checco e il suo enorme striscione “Leumann Dandies” che campeggiava sulla copertura del Delle Alpi, Fausto degli Ultras, Marco e Massimo dei Leoni, Antonella e altre tifose delle “Girls”, Mauro del Collettivo Paolo Pulici. Gente granata dalla testa ai piedi, granata dalla sera alla mattina, granata per 365 giorni all’anno e 24 ore al giorno. Persone fantastiche.

A Ginetto Trabaldo va il mio pensiero più forte però. Un uomo che oltre a presiedere i Fedelissimi Granata di Torino con passione e abnegazione infinita, era un fratello, uno zio. Uno che lo chiamavi al telefono in mezzo alla settimana e dopo esserti fatto riconoscere ti diceva: “Ciao Civitavecchia! Certo che ti prendo il biglietto. Ti aspetto in sede domenica mattina.” E io, a volte anche da solo, dopo essere partito a mezzanotte da Civitavecchia, dopo 7 ore di treno, dopo aver preso un cappuccino nell’unico bar aperto in Corso Vittorio Emanuele a Torino alle 7.30 della domenica mattina (il Bar Toscano? Boh, non ricordo il nome), avevo nella sede dei Fedelissimi in Via Carlo Alberto, un rifugio, un posto che diventò di famiglia, dove conobbi tifosi di ogni parte d’Italia e dove Ginetto ti accoglieva davvero come un figlio o un nipote. Il biglietto dello stadio pronto, un tè caldo, addirittura nelle giornate di pioggia anche un phon per asciugarti. Come quella volta di Toro-Genoa 5-2 1990/91. Pioveva già dal sabato mattina a Civitavecchia. Avevo prenotato a Ginetto due biglietti di curva Maratona per me e per un’altra persona che all’ultimo minuto, all’incirca alle 11 della sera, un’ora prima della partenza del treno, mi chiamò a casa per dirmi che non sarebbe venuto. Un’influenza disse, ma conoscendolo, era soprattutto la pioggia che avremmo preso a preoccuparlo. Partii da solo con il pensiero di dover dire a Ginetto l’indomani all’arrivo a Torino che di quei due biglietti solo uno me ne sarebbe servito per il forfait dell’ultimo momento del mio compagno di viaggio. Ormai ero quasi abituato al viaggio in treno Civitavecchia-Torino. Riuscivo a dormire ovunque se il treno era affollato, anche nel portabagagli che una volta erano sopra i corridoi dei treni. Quel treno arrivava da Reggio Calabria, ed era tutto dire. Gente che viaggiava da un’infinità di ore. Ma bene o male un posto per sedere e per addormentarmi riuscivo a trovarlo nella maggior parte dei casi. Intorno alle 5 si entrava in Liguria e si passava sulle Cinque Terre, La Spezia, col treno quasi sospeso a strapiombo sul mare. Mi piaceva essere sveglio quando arrivavo lì. Sarà anche che in primavera, cominciava a fare giorno in quelle ore e allora l’adrenalina ti svegliava e il sonno finiva. Quando si arrivava a Novi Ligure, prima stazione piemontese, ormai il più era fatto. Alessandria, la nebbia delle Langhe, Asti, Moncalieri…Torino Porta Nuova. Arrivati.

Pioveva che Dio la mandava a Torino quella mattina del 24 marzo del ’91, una pioggia fina, e continua, incessante. Dopo il solito cappuccino, mi incamminai senza ombrello e col mio giaccone sempre più zuppo, verso la sede dei Fedelissimi. Arrivai sotto quell’antico palazzo di Via Carlo Alberto n.9 intorno alle 8.20 del mattino, ben sapendo che prima delle 9.00/9.15 Ginetto non sarebbe arrivato alla sede. Al suo arrivo ero praticamente fradicio dalla testa ai piedi. Mi disse: “Ma da quant’è che sei qui?” , “da un’oretta circa” risposi. Mi portò su e mi diede un phon per asciugarmi addosso e i vestiti, un bel tè caldo e quando gli dissi che ero rimasto solo e che mi serviva un solo biglietto dei due che mi aveva preso ma che ero comunque disposto a rimborsarglielo, mi disse: “Non preoccuparti del biglietto, uno che lo prende lo trovo subito di sicuro, ma allo stadio da solo non ti ci mando”. Si attaccò al telefono e chiamò quel Marco (Leoni della Maratona) che poi non solo mi portò allo stadio alle 11.30, ma mi diede l’opportunità, insieme ad un altro manipolo di persone di partecipare attivamente all’allestimento della curva Maratona per quella gara. A me e ad un altro ragazzo toccò lo striscione di 30 metri da legare al 3° anello della curva: “LO URLA LA GENTE, LO DICE LA STORIA, E’ LA LEGGENDA LA NOSTRA GLORIA, TORINO SIAMO NOI!” Non poca fatica per trasportarlo sulle spalle e poi tra lacci e laccetti da legare, ma io ero felice come una Pasqua. Mi sentivo per la prima volta parte integrante del tifo del Toro e non contento accettai anche di far parte del gruppo di tifosi che fece il giro del campo con i gemellati genoani nel pre-gara, sventolando un bandierone enorme a scacchi bianco e granata, ancora e di nuovo sotto l’incessante pioggia di quel giorno. Vittoria, euforia, gara spettacolare, 5-2 per il Toro. Erano questi i pensieri mentre il tram numero 9 in “soli” 40 minuti (sigh…) mi riportava verso Porta Nuova. Non era finita. Alla stazione incontrai Dino Baggio, allora giovanissimo centrocampista lanciato da Mondonico in prima squadra dopo la trafila nella fortissima Primavera del Toro. Aveva appena accompagnato i genitori che da Padova erano venuti a vederlo giocare e segnare in quella partita. Ci parlai qualche minuto e mi feci fare il suo autografo sulla sciarpa. Sciarpa buttata l’anno dopo quando passò ai gobbi… Di quel giorno, mi rimane ancora una cosa. Un timbro, di quelli da ufficio con tanto di spugnetta d’inchiostro granata con su scritto “Torino è stata e resterà Granata!” Me lo diede uno dei tifosi conosciuti quel giorno dicendomi: “Timbraci tutte le banconote che ti passano in mano, dobbiamo far arrivare sta scritta in tutta Italia, boia Fa!” Chissà se qualcun altro ne è in possesso…

Ma di ricordi negli anni ce ne sono tantissimi. Quelli legati al campionato del terzo posto nel 91/92 e alla cavalcata in Coppa Uefa sono forse i più belli, ma anche la Coppa Italia vinta nel ’93. Il derby in semifinale.  Riuscivamo ad eliminare i gobbi dopo due pareggi (1-1 e 2-2) con Poggi e Aguilera sugli scudi e con Ravanelli che sbagliò anche un rigore. Che infinita goduria!

Nella finale con la Roma assurdamente fui presente a Torino per il 3-0 della gara d’andata ma non a Roma per il ritorno. Ero stato malissimo quel giorno e anche il giorno prima con la febbre e dolori di stomaco poco augurabili e soffrii davanti alla Tv per quel 5-2 dei giallorossi che ci permise di vincere comunque il trofeo ma perdendo praticamente le coronarie… E cosa non pensai dopo il terzo rigore che l’arbitro Sguizzato di Verona, alla sua ultima partita in carriera, ci fischiò contro quella sera e anche quando già sul 5-2, l’ex cuore granata Silvano Benedetti, ora in maglia giallorossa, colpì il palo di testa con Marchegiani battuto. Pensa cosa sarebbe successo se avessimo perso quella Coppa Italia con un gol definitivo di uno come Benedetti che è nato, cresciuto e che ancora oggi lavora per il Toro…

Maggio 1992: Tranne Toro-Reykjavik, le partite in casa di Coppa Uefa le vidi tutte dal secondo anello della Maratona: Toro-Boavista 2-0, Toro-Aek Atene 1-0, Toro-BK Copenhagen 1-0, ma soprattutto Toro-Real Madrid 2-0 e Toro-Ajax 2-2. Forse la partita col Real è il mio punto più alto come tifoso del Toro. Tenere testa al Bernabeu alla squadra di Buyo, Hierro, Chendo, Sanchis, Michel, Hagi, Butragueno… andare in vantaggio con Casagrande ed essere raggiunti e superati solo con la compiacenza di un arbitro in piena sudditanza psicologica. E poi Torino, 15 aprile 1992, 59.861 spettatori, una bolgia di tifo. E che partita. Che spettacolo offrì il Toro. Che caparbietà, che grinta, che voglia, che orgoglio. Il primo se lo fecero da soli con Ricardo Rocha dopo 7’ minuti su cross di Lentini. Il difensore brasiliano intervenne per anticipare Casagrande ma battè Buyo. E nel 2° tempo col più classico dei contropiedi orchestrato da Scifo e da un grandissimo Lentini, che crossò rasoterrà per l’accorrente Fusi che segnò lo storico 2-0 finale sotto la Maratona in estasi. Seguivo la partita sulla balaustra vicino al Collettivo Paolo Pulici. Avevo un bandierone a scacchi bianchi e granata da sventolare e per farlo, dopo il gol, dall’entusiasmo per poco non cado dal secondo anello. Che libidine…

E poi la tremenda finale con l’Ajax che in semifinale aveva eliminato il Genoa. 29 Aprile 1992. Organizzammo un pullman solo per i Fedelissimi di Civitavecchia. 50 persone, 8 ore di autobus per una giornata storica. Ma decisamente non fortunata come spesso è capitato nella storia del Toro. L’anticamera ce l’avemmo già dalla richiesta biglietti. Telefonavamo sempre in sede per la Coppa Uefa per prenotare, come club, i biglietti. Il responsabile, sempre un po’ scazzato ma preciso, almeno fino a quel momento, ci aveva sempre riservato i biglietti che chiedevamo. Chiamammo il giorno seguente la partita col Real. Arrivammo a casa il giovedi mattina alle 7 e alle 11 eravamo già nell’ufficio di Massimo a chiamare per prenotare i biglietti. Stavolta ci rispose che, essendo la finale, prima di riservare i biglietti a noi, doveva soddisfare tutti i club piemontesi e poi a seguire quelli delle altre regioni. Ci incazzammo come belve. Chiamavamo tutti i giorni. Alla fine dopo una settimana ci prenotò i biglietti. Ma invece di darci la Maratona e i Distinti che avevamo chiesto ci disse che poteva darci solo la Tribuna Laterale a 60 mila lire a biglietto! Ci incazzammo ancora ma li prenotammo lo stesso. Li avremmo potuti ritirare alla biglietteria dello stadio il giorno stesso della finale, due ore prima del calcio d’inizio. 50 biglietti a 60 mila lire l’uno. Tre milioni di lire. Se non riuscivamo a venderli tutti ci avremmo rimesso noi, quattro ragazzi di 23 anni o giù di lì che si prendevano una responsabilità per altre 50 persone. Incoscienza e passione. Per fortuna c’era fame di Toro anche a Civitavecchia e non ci fu problema a piazzarli. E volle venire anche chi, dal vivo, il Toro non lo seguiva mai. Io ero allergico a queste cose. Ero molto supertistizioso. Pensavo: non vengono mai a vedere il Toro, vuoi vedere che una volta che vengono portano sfiga? Profezia, forse. Dopo otto ore d’autobus giungemmo al Delle Alpi. C’erano tante di quelle persone che così tutte insieme fuori da uno stadio non le avevo mai viste. Forse a 15 anni, quando un amico mi portò con la sua famiglia giallorossa a vedere Roma – Dundee 3-0 storica semifinale di ritorno della Coppa Campioni 1984, che forse la Roma più forte di ogni tempo perse poi ai rigori giocando in casa la finale contro il Liverpool. Così tante persone quel giorno a Torino che Massimo sopraffatto dall’ansia, come un po’ tutti noi, commise una leggerezza. Mentre io tenevo ferme e senza farle disperdere 50 persone poco più indietro degli ingressi dello stadio, lui si diresse a ritirare i biglietti prenotati. Quando tornò, dopo quasi mezzora e incazzato perché alla biglietteria non trovavano i nostri tagliandi, in preda alla fretta, invece di tirare fuori la lista dei viaggiatori e distribuire i biglietti ad uno ad uno, si mise in mezzo al gruppo e cominciò a dare biglietti alle mani che gli si protendevano in avanti. Capimmo solo alla fine, quando almeno 5/6 dei nostri erano rimasti senza biglietto che, in mezzo a quelle mani tese c’era anche chi non doveva esserci: infiltrati. Si accorse di loro uno dei nostri e ce li indicò mentre già a passo spedito puntavano i cancelli d’ingresso. Erano ragazzi di 20 anni. Non ci volle molto a farci ridare i biglietti. Avevamo la lista della biglietteria coi numeri di serie e quando gli chiedemmo di farci vedere i “loro” biglietti, ce li diedero chiedendoci scusa e dicendo che venivano dalle Marche e avevano perso il loro gruppo e pensavano (mentendo spudoratamente) che la distribuzione che Massimo stava facendo fosse anche per loro… Ma l’importante era stato recuperare la “refurtiva”. Molti, la maggior parte, optò per andarsi a sedere nella tribuna laterale, proprio il settore di appartenenza e indicato nel biglietto. Io, Massimo e altri 6/7 di noi provammo ad entrare al secondo anello della Maratona col biglietto della Tribuna laterale. All’ingresso neanche ci guardarono il biglietto. C’era una tale ressa che gli inservienti lo strappavano e facevano entrare la gente praticamente a gruppi. Poi capimmo perché. Quel giorno allo stadio Delle Alpi eravamo 65.377 persone! Record imbattuto per lo stadio della Continassa. Nessuno ha battuto mai quel record di spettatori. Neanche gli strisciati che eppure di partite di Coppa Campioni, in quello stadio, ne hanno giocate parecchie negli anni a seguire. E fu bellissimo il tifo. Non avrei mai e poi mai potuto perdermi la possibilità di essere in Curva Maratona la sera della prima finale europea del mio Toro.

Altro segno che non sarebbe stata una bella serata: in tutte le partite casalinghe del Toro, in campionato e in Coppa Uefa, la tifoseria ospite veniva collocata nel settore distinti alla parte opposta della Curva Maratona. Per capirci, a uno dei lati della curva gobba. Era successo così in tutte le partite che avevo visto allo stadio. Quella sera no. Entrammo in Maratona e i tifosi olandesi dell’Ajax , guardando il campo, ce li trovammo piazzati nei distinti a sinistra della curva Maratona. Capii che quel confine era troppo labile perché non potesse succedere qualcosa. Gli olandesi, e chi era in Maratona quel giorno potrà confermare, erano armati di biglie che lanciavano in Maratona con, credo, fionde artigianali. Nel prepartita la gente veniva colpita in successione e ne feci le spese anche io che ero vicino al Collettivo Paolo Pulici e non molto distante dagli olandesi. Per fortuna avevo il cappello del Toro in testa e, a parte un bernoccolo e una piccola escoriazione non ebbi grossi danni. Conservo ancora la biglia che mi colpi…Cominciò il lancio di qualsiasi cosa da una parte e dall’altra fino a quando, a partita da poco iniziata, vedemmo partire tre bengala dal centro della Maratona verso il settore dei tifosi dell’Ajax. Vidi qualche giacca sintetica olandese andare in fumo e molta paura e preoccupazione nelle facce degli olandesi. Fu una cosa non piacevole, ma di sicuro calmò le acque perché i tifosi dell’Ajax cominciarono a capire che erano in netta minoranza e non gli conveniva far tanto casino. Tanto, credo, avranno pensato che c’era la gara di ritorno e avrebbero avuto modo di vendicarsi. Io non c’ero ad Amsterdam il 13 maggio, ma la famiglia Terzini di Civitavecchia, tutti granata dal nonno ai nipoti, erano presenti con lo striscione dei Fedelissimi di Civitavecchia e loro, che erano presenti, ci raccontarono che i tifosi del Toro, seppur scortati, furono vessati da poliziotti e tifosi olandesi con manganellate e sassate quel giorno.

Festa di tifo e di striscioni bellissima. Degna di una finale attesa da 86 anni, tanti quanti quelli che aveva il Toro nel 1992. C’era pure Piero Chiambretti che vestito da giocatore del Toro disturbava il riscaldamento dei giocatori olandesi, per poi fare la sua solita scenetta di quell’anno, ovvero dribbling virtuali segnando gol virtuali senza palla ed esultando sotto la Maratona urlante come se i gol fossero veri… Ci pensarono Jonk da lontano e Petterson su rigore, dopo fallo di Benedetti su Bergkamp, a farci tornare sulla terra dopo aver sognato di volare in alto. Solo il grande Casagrande, segnando due gol e firmando il 2-2 finale, ci diede la flebile speranza di poter ancora vincere quella coppa 15 giorni dopo ad Amsterdam, con un entusiasmo che ahimè per noi, andò a sbattere su due pali e una traversa colpiti in sequenza da Casagrande, Mussi e Sordo e su un rigore non concesso nel 1° tempo per fallo su Cravero. Non doveva finire così.

Piangemmo parecchio quella sera fuori la pizzeria del papà di Giampiero, altri granata di Civitavecchia, che ci avevano ospitato per seguire tutti insieme la partita. Pizzeria chiusa per tutti quel mercoledi sera, tranne che per noi del Toro. Massimo aveva comprato fumogeni, trombe e fuochi d’artificio senza dire niente a nessuno e li aveva tenuti dentro il portabagagli della sua auto nella speranza di tirarli fuori alla fine. E invece lì rimasero, con noi a piangere come bambini.

Estate 1992: La delusione della fine dell’era Borsano, la cessione di Lentini al Milan e pian piano di tutti i giocatori migliori, il notaio Goveani e poi Calleri che arrivò dopo che avevamo sognato di finire nelle mani del ricchissimo finanziere Luigi Giribaldi, tifoso granata e che avrebbe potuto fare molto per riportarci agli antichi fasti. Vidulich, Souness e lo spareggio di Reggio Emilia per la A con Reja…vissuto con Luca e Marco a casa mia davanti alla televisione in “pay per view” con l’allora Tele + perché erano esauriti i biglietti per raggiungere, il 21 giugno 1998, il “forno” a 40 gradi all’ombra dello stadio Giglio… E l’onesto terzino inglese Dorigo che tirando il suo rigore, soffocò sul palo ogni nostro possibile e già pronto urlo di gioia… In quegli anni decidemmo con Luca di andare anche a seguire il ritiro del Toro che non era lontanissimo da Civitavecchia. Nel 1996 a Gubbio e nel 1997 a Montepulciano. Anni tristissimi a parte il ritorno in granata di Lentini e Cravero quasi  a fine carriera.

Per i 50 anni di Superga, partii con Luca il 30 aprile del 1999 per raggiungere Torino. L’indomani si sarebbe giocata Toro-Napoli, gara determinante per la promozione in A. Splendida la mostra in memoria degli Invincibili che vedemmo nel centro di Torino prima di salire a Superga. Sempre un’emozione ogni volta. E la raccomandazione agli Eroi di aiutare quei ragazzi in maglia granata a riportare il Toro in A. Forse servì. Perché in una partita da cardiopalma e quando ormai sembrava che il 2-2 fosse scritto, Marco Ferrante, autentico bomber granata di quei tristi anni, al 90’ salì in cielo, forse spinto da Gabetto, a colpire di testa un cross che ci diede la vittoria all’ultimo respiro. Ci aveva raggiunto all’ultimo momento anche Stefano che era ospite di un amico a Bardonecchia. Civitavecchia c’era. Altra bellissima giornata.

E feste promozione ce ne sono state. E presenziai anche a quella del 2000 con Giancarlo Camolese in panchina, che avevo conosciuto come vice-Souness (my God…) proprio nel luglio del 1997 nel ritiro del Toro a Montepulciano vicino Siena. Per me un cuore Toro e un allenatore bravo e modesto che oltretutto, finchè ebbe una squadra degna di questo nome, fece anche bene, compresi i derby che con lui nel 2001/2002 non solo sono gli ultimi che non abbiamo perso, ma furono clamorosi nella rimonta da 0-3 a 3-3 nel derby d’andata e rabbiosi in quello di ritorno quando il “coniglio” Maresca pareggiò al 90’ il vantaggio che i granata avevano raggiunto con Ferrante e Cauet, (dopo l’iniziale gol gobbo di Trezeguet), mimando il gesto delle corna di Ferrante, per poi scappare negli spogliatoi a fine gara inseguito da tutta la squadra granata. Una stagione quella che aprimmo con Massimo andando ad Udine a vedere la prima di campionato finita 2-2 (unico gol di Osmanovski con la maglia del Toro, forse, e lo 0-2 di Galante che ci fece dire: “ammazza quanto siamo forti quest’anno”, per poi tornare sulla terra coi due gol friulani nel 2° tempo…). Eravamo in vacanza-itinerante da Riccione e fino a Lignano e la sera prima correndo per Lignano, mi ruppi una caviglia, così la partita allo stadio la vidi col gesso al piede…

E ancora retrocessioni e ancora promozioni. Il viaggio a Castel di Sangro, il 15 maggio del 1997. Quattro ore d’auto per raggiungere un paese di 6000 anime in provincia de L’Aquila in Abruzzo. Una società che era riuscita ad arrivare in serie B e che giocava per la prima volta nella sua storia contro il blasonato Torino ormai decaduto. La nostra squadra viaggiava a metà classifica e con nessuna chanche di promozione. Già esonerato dal presidente Calleri il tecnico dell’estate, Mauro Sandreani. Al suo posto sulla panchina, una bandiera granata degli anni 60, il responsabile tecnico dei portieri del Toro, Lido Vieri, a traghettare la squadra verso un tranquillo finale di stagione in attesa di tempi migliori. Quando col mio amico Luca arrivammo in paese, trovammo una vigilessa alla quale chiedemmo dov’era lo stadio. “Basta seguire la gente” ci disse, “stanno andando tutti alla partita”. Ed in effetti il paese era vuoto. Si era riversato allo stadio. Stadio… se così poteva chiamarsi. Il “Teofilo Patini” per disputare la serie B, aveva dovuto raggiungere la capienza di almeno 9000 persone e lo aveva fatto, aggiungendo all’unica tribuna centrale in cemento, impalcature di tubi “innocenti” alle quali erano state fissate strutture in metallo per seguire la partita. Roba da brividi. I tifosi abruzzesi ci chiesero lo scambio delle sciarpe all’arrivo allo stadio e le strette di mano, i sorrisi e i commenti entusiastici sul Toro furono il preludio ad altro clima che invece trovammo all’interno. Una curva, se così possiamo chiamarla, era stata riservata completamente ai tifosi granata, il resto dello stadio era giallorosso come i colori del Castel di Sangro. Ma pochi minuti prima dell’inizio, nella curva opposta, comparve un bandierone bianconero e cominciarono i cori: “Toro, Toro, vaffan….” Decisamente il clima cambiò. Ma ci pensò il Toro a farci inghiottire il rospo. Dopo 5 minuti eravamo già sotto di un gol. Claudio Bonomi, un centrocampista mancino che, due stagioni dopo avrebbe giocato 5 mesi in maglia granata, fece partire un siluro terra aria che Longo con la schiena deviò alle spalle di Casazza, portiere fortemente voluto da Sandreani. Ci beccammo ogni epiteto possibile e immaginabile. L’accoglienza iniziale fu solo di facciata, la realtà era che trovammo un manipolo di gobbi travestiti da tifosi del Castel di Sangro. Nonostante il pareggio di Scarchilli alla mezzora, a metà del 2° tempo il Toro crollò e la partita fini 2-1. Continuammo a prendere “battutine” a fine gara dallo stadio all’auto. Fu, credo, il punto più basso che, dal vivo, toccai da tifoso del Toro.

Ero a Torino il 26 giugno del 2005 con gli altri 58mila del Delle Alpi, quando il mitico Renato Zaccarelli, centrocampista scudettato dei tempi d’oro del Toro anni 70/80 e a quel tempo dirigente della società di Cimminelli, subentrò all’allenatore Ezio Rossi (altro cuore Toro ma sfortunato in panchina) e portò la squadra ad una promozione in A, in finale con l’odiato Perugia, riscattando la sconfitta ai rigori dello spareggio del ’98. Una promozione che durò lo spazio di due mesi, quando il 9 agosto del 2005 venimmo a sapere, con la squadra affidata a mister Arrigoni, mentre disputava l’amichevole ad Acqui Terme, che il Torino Calcio di Cimminelli era fallito, finito, non più esistente.

Passai un’estate d’inferno e con Luca e Stefano amici granata Doc, vivemmo tutta l’agonia. Le “bufale” di Cimminelli e Romero, le banche che gli rifiutavano le fedejussioni per salvare la società, il fallimento, il Lodo Petrucci con Marengo, i 9 giocatori presenti al raduno con Stringara allenatore,Tommaso Vailatti e Alberto “Jimmy” Fontana, gli unici del “vecchio” Toro che decisero di restare, Giovannone l’amico di Lotito che acquista il Toro da Marengo, Padovano che si inventa Ds del Toro e rischia la pelle braccato dagli Ultras, l’arrivo di Cairo, la trattativa estenuante con Giovannone a Fiumicino, l’annuncio a mezzanotte dell’avvento del nuovo Presidente, della nuova società. Eravamo collegati via internet con Toro News dalle 9 di quella sera, e anche via telefono con Ernesto di Cuneo che era praticamente da tutto il giorno sotto la sede del Toro in attesa di buone notizie che tardavano ad arrivare. Poi fu una gioia, una liberazione. Credevamo, speravamo di stare per tornare grandi. E con Luca e Stefano decidemmo di dare fiducia a Cairo e, pur non potendone usufruire, facemmo l’abbonamento in Curva Maratona e tramite amici di Torino, lo regalammo a chi non poteva permetterselo ma sarebbe potuto andare a in curva a tifare al nostro posto.

Grande gioia dopo aver pensato di sparire, vedere il Toro di quell’anno. Costruito in 15 giorni, fece un bel campionato, un Toro non bellissimo ma sicuramente un Toro da battaglia e con un giovane Rosina che sembrava poter farci sognare. Si arrivò in A con la solita enorme fatica, ai playoff e dopo aver perso e male la gara di andata della finale a Mantova. Per fortuna quando la partita sembrava ormai destinata verso un pesantissimo 4-1 per i lombardi, Abbruscato, giovane attaccante di belle speranze acquistato a gennaio dall’Arezzo, con una zampata segnò in mischia il 4-2. Un risultato che permetteva al Toro ancora qualche possibilità di promozione seppur con un’impresa. L’impresa riuscì davanti a 60mila spettatori. Vinse il Toro 3-1 e tornammo in A. Non c’ero quel giorno allo stadio, ma c’erano Massimo e Stefano che io aspettai l’indomani mattina all’uscita dell’autostrada Civitavecchia nord per abbracciarli e urlare forte insieme la gioia della promozione in A. Sperando di restarci e, con “Urbano I Papa” (così chiamarono Cairo in molti all’inizio) tornare ad essere protagonisti come negli anni 70 e 80.

Nel 2006, spinto ancora dal fresco entusiasmo per Cairo, fui piacevolmente coninvolto da Luigi, fratello granata di Civitavecchia, a partecipare insieme a lui ad un’iniziativa bellissima. A 30 anni dalla prematura scomparsa del mitico Giorgio Ferrini, capitano del Toro per 15 anni con 566 presenze in maglia granata (un record ineguagliato), Luigi, con tanti amici granata a Torino, venne contattato dal Comitato Dignità Granata per effettuare delle interviste audio-video a ex giocatori e amici, che conobbero, giocarono con e contro Giorgio Ferrini in quegli anni, che sarebbero servite per inserirle in un Dvd in memoria del Capitano. Luigi contattò poi me per aiutarlo in questa avventura e ne fui inorgoglito e accettai con entusiasmo. Per chi ha visto quel Dvd, le interviste ad Aldo Agroppi, a Nino Benvenuti e Nicola Pietrangeli, a “Picchio” De Sisti e a “Ciccio” Cordova, le realizzammo io e Luigi. Emblematica quella fatta a Piombino ad Aldo Agroppi, al circolo bocciofilo che frequenta da sempre e dove conoscemmo un uomo, un simbolo del granatismo con racconti e aneddoti da brividi sul suo periodo da calciatore al Toro. Come l’odio per Lippi, che in maglia blucerchiata gli respinse, oltre la linea, il gol del possibile vantaggio granata a Genova nella stagione 1971/’72. Gol che avrebbe potuto dare lo scudetto al Toro ma che il famoso arbitro Barbaresco prima assegnò e poi tolse ai granata. Lippi gli stava sugli zebedei da quel giorno, figurarsi quando diventò allenatore della juve… Agroppi ci parlò di Ferrini come un maestro di sport e di vita. Disse che gli aveva insegnato ad essere granata nella pelle e a non arrendersi mai neanche nella vita di tutti i giorni. Cosa che credo sia servito al buon Aldo qualche anno fa quando il suo cuore ce lo stava quasi per portar via ma la sua tempra riusci ad aiutarlo a ristabilirsi. Se non avete quel dvd procuratevelo. Di Giorgio Ferrini ce n’è stato solo uno ed inimitabile.

La storia di oggi del Torino Fc la conosciamo tutti. Io manco da Torino dal 26 giugno 2005, Torino-Perugia 0-1, Finale di ritorno dei Playoff di serie B, la famosa Promozione “fasulla” con Cimminelli, Romero e Zaccarelli e con quella squadra formata da tanti giovani e da buoni giocatori. Giocatori che perdemmo e che trovarono subito posto in tante squadre di A e B: Pinga, Marazzina, Quagliarella, Sorrentino, Comotto, Mantovani, Mezzano, Mudingayi, Balzaretti, Codrea, Carlos Marinelli, Maniero, Marchetti, Acquafresca. Non ho mai visto dal vivo il nuovo Comunale, ora “Olimpico. Ho visto su Sky la bella festa del “Centenario” nel 2006 e guardo tutte le partite del Torino Fc di Cairo in Tv. Cominciando a fare lo speaker in radio ho avuto anche la fortuna, grazie a Maria Luisa di Torino, una grandissima tifosa granata da generazioni, di conoscere e intervistare più volte il grande Eraldo Pecci, centrocampista del Toro scudettato nel ’76, che a sua volta mi ha dato l’occasione di poter conoscere e intervistare il mito della mia infazia. Il grande Paolo Pulici, ancora indiscussa bandiera granata che mai ha trovato sostituti nel cuore dei tifosi del Toro. Inutile spiegarvi o descrivervi l’incredibile emozione nel fargli quell’intervista (entrambe le trovate su youtube. Pecci: https://www.youtube.com/watch?v=fCMseoAhxho  Pulici: https://www.youtube.com/watch?v=gm3A75UaTFE )

Spero, vorrei, proverò a tornare allo stadio. Anche se questo presidente sta lentamente togliendo a me, come a tanti altri, la speranza di tornare a vedere un grande Toro. E dire che dopo aver avuto la fortuna di trovare due giocatori come Cerci e Immobile che ci hanno riportato tra le prime 7 squadre di serie A, sarebbe bastato poco, davvero poco, per far rimanere e saldare ancora di più quell’entusiamo cresciuto con questi due giovani attaccanti che non avevamo così forti probabilmente dai tempi di Pulici e Graziani. E invece no. E’ riuscito a venderli entrambi, non è riuscito a tenerne nemmeno uno dei due e al loro posto è riuscito ad acquistare solo giocatori bolliti e logori. E i suoi due fidi “compari” il Ds Petrachi e il “mister libidine” Ventura, da buoni “yes man”, hanno avvallato le sue scelte rimanendo ancorati ai loro posti e credendo di essere bravissimi e di riuscire a fare le nozze anche coi fichi secchi…

Non so dove sarà il Toro tra qualche anno. Ma io vorrei trovare l’entusiasmo di tornare a Torino presto.

A tifare Toro. Il mio Toro.

Dedicato a Massimo C., a Sandro R., a Aldo A., a Luca S., a Stefano B., a Mario A., a Marco T., a Luigi P. e a tutti gli altri fratelli dei Fedelissimi Granata Civitavecchia.

 

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